L’importanza dell’aderenza alla terapia farmacologica nel trattamento dell’ipertensione arteriosa ed in prevenzione cardiovascolare

Facciamo il punto
A cura di: Prof. Massimo Volpe - Presidente, Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare
L’importanza dell’aderenza alla terapia farmacologica nel trattamento dell’ipertensione arteriosa ed in prevenzione cardiovascolare

PREMESSA

La Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC) ha da tempo identificato nell’aderenza terapeutica un obiettivo di grande importanza nelle strategie di prevenzione primaria e secondaria nonché nella gestione della cronicità in ambito cardiovascolare in funzione del ruolo fondamentale che queste condizioni svolgono nel favorire la suscettibilità agli eventi acuti.
In numerosi documenti ed interventi, ormai da anni, SIPREC ha voluto dedicarsi alla lotta alla non-aderenza agli stili di vita corretti ed alla terapia farmacologica.
In questo documento il focus è sull’impatto della non-aderenza nella ipertensione arteriosa e sugli interventi per combatterla, che, soprattutto oggi, si avvalgono di numerosi strumenti tra cui spicca la disponibilità di combinazioni precostituite in pillola singola (SPC) di due o tre farmaci antipertensivi che costituiscono forse la più importante innovazione nelle strategie di cura antipertensiva e che sono oggi raccomandate per la grande maggioranza dei pazienti che necessitano di terapia farmacologica dalle linee guida (Figura 1).

Linee_Guida_EHS.png

Gli interventi terapeutici volti a controllare i principali fattori di rischio e patogenetici della MCV rivestono fondamentale importanza, soprattutto la terapia antipertensiva, ipolipemizzante, antidiabetica ed antiaggregante, sia per la prevenzione primaria che per il controllo delle condizioni croniche come ipertensione, dislipidemie, diabete e patologie dismetaboliche che presentano un trend in continua crescita negli ultimi decenni e che sono responsabili di oltre il 50% degli eventi cardiovascolari e di circa 1/5 della mortalità secondo i recenti studi condotti dal Global Cardiovascular Consortium su oltre un milione di individui in tutto il pineta pubblicati sul NEJM nell’ottobre 2023.

La terapia farmacologica si è ormai affermata e rappresenta oggi un caposaldo nelle strategie di prevenzione primaria e secondaria delle MCV accanto alle modifiche degli stili di vita, soprattutto in relazione al ruolo di “disease-modifiers” e “life-savers” degli interventi terapeutici che si possono mettere in atto in tutte queste condizioni.

Il ruolo centrale di questi farmaci nella terapia delle MCV è sostenuto da chiare e robuste evidenze derivate da molteplici vasti studi clinici condotti negli ultimi 30 anni, utilizzando diverse molecole originali in differenti scenari clinici.

Tuttavia, nel mondo, nonostante la disponibilità di strategie di intervento efficaci e ben tollerate, la ricorrenza degli eventi ischemici continua a essere ancora oggi molto elevata. Uno dei principali determinanti di questo ancora insoddisfacente risultato terapeutico è costituito dalla insufficiente aderenza alle diverse strategie terapeutiche che raramente raggiunge il 50% dei soggetti trattati ad 1 anno dall’inizio della terapia. Il rapporto OSMED 2021 sull’uso dei farmaci in Italia dimostra la rilevanza del problema evidenziando un’aderenza soddisfacente, definita da una copertura terapeutica >80%, soltanto nel 50,3% dei pazienti trattati con farmaci antipertensivi e nel 40,7% dei pazienti trattati con farmaci ipolipemizzanti. Se si concorda con l’assunzione che, farmaci efficaci non possono funzionare in chi non li assume con adeguata regolarità, non sorprende che la scarsa aderenza terapeutica si possa associare a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari e di recidive.

La scarsa aderenza terapeutica è un fenomeno multidimensionale che dipende dalle caratteristiche delle differenti condizioni cliniche, da un insufficiente coinvolgimento del paziente nel progetto terapeutico o da un atteggiamento non troppo convinto o relativamente inerte del medico prescrittore. In molte circostanze anche una insufficiente organizzazione del sistema assistenziale può rendere difficile l’aderenza ad un trattamento il cui accesso è spesso reso difficile da condizioni burocratiche, da barriere organizzative e dal difficile accesso al medico ed alle strutture sanitarie. Tuttavia, la complessità degli schemi terapeutici e il numero di pillole da assumere quotidianamente in tanti orari diversi rappresenta il fattore che più ampiamente impatta sull’aderenza [10,12].

Proprio alla luce di queste considerazioni, una rigorosa aderenza alla terapia cronica con i farmaci antipertensivi ed ipocolesterolemizzanti, oltre che con altre classi di farmaci cardiovascolari (come i farmaci anticoagulanti o quelli antidiabetici), costituisce un principio irrinunciabile di tutte le strategie terapeutiche.

Con il termine “aderenza” ci si riferisce generalmente ad un comportamento attraverso il quale i pazienti rispettano tutte le indicazioni ricevute e generalmente assumono i farmaci attenendosi alle modalità previste dalla prescrizione del medico. Il termine “aderenza” ha sostituito il termine “compliance” nella letteratura medica contemporanea in quanto riflette meglio il percorso di cura complessivo. Il paziente può essere infatti “compliant”, cioè disponibile, alle indicazioni ed alle prescrizioni, ma soltanto la misura dell’effettiva aderenza alla terapia riflette l’efficace interazione tra medico e paziente finalizzata a raggiungere gli obiettivi terapeutici prefissati. Questa definizione riflette anche una più moderna concezione del rapporto medico-paziente in cui quest’ultimo collabora e partecipa all’attuazione del progetto terapeutico, piuttosto che recepire passivamente le istruzioni dei medici. Nello specifico si può definire aderenza, e quindi misurarla, come la percentuale di pillole (o altre forme di somministrazione della terapia) che il paziente assume secondo le modalità prescritte ed ai dosaggi indicati. Per convenzione, una soglia minima dell’80% configura un’aderenza adeguata alla prescrizione di farmaci cardiovascolari. Un’altra non meno importante connotazione dell’aderenza prende in considerazione l’arco temporale durante il quale il paziente assume il farmaco come prescritto, anche se in modo intermittente, evitando di interromperlo prematuramente o in modo permanente. I pazienti sono classificati come non aderenti se interrompono il farmaco prescritto prima di un certo limite temporale. Il termine “persistenza” nel trattamento cronico si riferisce proprio a questa connotazione dell’aderenza terapeutica (“stay on therapy”). Per “non aderenza primaria” si intende invece una situazione in cui il paziente non intraprende l’assunzione di un farmaco prima ancora di esaurire la prima prescrizione, o addirittura prima ancora di iniziarla, e comunque non è seguita dalla richiesta di una nuova prescrizione.

L’aderenza è generalmente più elevata tra i pazienti che sono stati colpiti da eventi acuti, come un infarto del miocardio o un ictus, che ovviamente sono più preoccupati per il loro stato di salute, rispetto a quelli affetti da patologie croniche in cui il trattamento è generalmente prolungato, se non permanente “life-time”.

La scarsa aderenza ai farmaci è associata ad uno scarso controllo dei fattori di rischio cardiovascolare come, ad esempio, il controllo adeguato e costante di elevati valori pressori e dei livelli di colesterolemia. Anche la mortalità e gli eventi cardiovascolari maggiori risultano più elevati nei pazienti con scarsa aderenza. Purtroppo, si tratta spesso di un fenomeno scarsamente identificabile e talora persino mascherato dal paziente stesso. I medici hanno spesso difficoltà ad attribuire ad una scarsa aderenza gli insoddisfacenti risultati terapeutici ottenuti in alcuni dei loro pazienti, persino quando questi insuccessi sono inattesi. La sottovalutazione clinica di una scarsa aderenza ed il suo mancato riconoscimento possono persino tradursi in un’inutile intensificazione del trattamento con la potenziale comparsa di effetti avversi.

L’impiego di metodi indiretti come pillola-reminder (App o telefono cellulare), questionari, contapillole, la misurazione periodica dei marcatori biologici (es., i livelli di colesterolo LDL o i livelli di pressione arteriosa) o la compilazione di un diario di assunzione dei farmaci, sono strumenti utili e di facile applicazione.

Nel corso degli ultimi anni, anche al fine di contrastare efficacemente il fenomeno della non-aderenza, ci si è molto concentrati, e con evidenti successi, sullo sviluppo e l’impiego di combinazioni precostituite di farmaci, della stessa classe o di classi diverse, in pillola singola, il che consente di semplificare gli schemi terapeutici attraverso la riduzione del numero di compresse da un lato e dall’altro di ottimizzare e sfruttare le sinergie farmacologiche. Le sinergie terapeutiche rappresentano senza dubbio uno strumento importante e spesso necessario per raggiungere i target terapeutici raccomandati utilizzando combinazioni razionali di farmaci.

Nel trattamento dell’ipertensione arteriosa una condizione notoriamente caratterizzata da una complessa fisiopatologia che coinvolge diversi sistemi biologici, è praticamente inevitabile associare farmaci che blocchino il sistema renina-angiotensina con diuretici e/o vasodilatatori o farmaci antiadrenergici per realizzare un approccio in grado di contrastare i diversi meccanismi fisiopatologici chiamati in causa

Nel trattamento dell’ipercolesterolemia è ben nota la regola del 6% che prevede che per ogni raddoppio di dose di una statina si ottenga una riduzione incrementale della colesterolemia del 6%, mentre l’aggiunta di un farmaco con un meccanismo di azione additivo determina un incremento della riduzione della colesterolemia del 15-20% [13,14] (come succede nel caso dell’associazione di una statina con un inibitore dell’assorbimento intestinale del colesterolo, ad esempio ezetimibe).

Il beneficio incrementale in termini di riduzione pressoria che si ottiene aggiungendo un secondo farmaco antipertensivo con meccanismo di azione complementare è 5 volte superiore rispetto a quello che si ottiene raddoppiando la dose del singolo antipertensivo [15]. Attualmente, la terapia di combinazione con associazioni precostituite rappresenta il riferimento terapeutico di prima scelta per la generalità dei pazienti ipertesi [16] ed è ipotizzabile che lo possa diventare in futuro anche per la gestione delle dislipidemie [17].

La sinergia tra farmaci cardioprotettivi, peraltro, non riguarda soltanto l’implementazione del controllo di un determinato fattore di rischio ma ha anche importanti ricadute favorevoli sulla protezione cardiovascolare addizionale. Nello studio Anglo-Scandinavian Cardiac Outcomes Trial-Lipid Lowering Arm (ASCOT-LLA), condotto in pazienti a elevato rischio cardiovascolare, l’aggiunta di una statina a una terapia antipertensiva con ACE-inibitore/calcio-antagonista ha determinato un vantaggio incrementale in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari del 53% rispetto alla sola terapia antipertensiva [18]. La ricaduta pratica di questa interazione favorevole tra trattamento ipolipemizzante e antipertensivo è evidente se si considera che l’ipercolesterolemia rappresenta il più importante amplificatore di rischio nel paziente iperteso in ragione dello spiccato sinergismo tra questi fattori di rischio nel determinare eventi cardio- e cerebrovascolari [16].

La combinazione di diversi farmaci cardioprotettivi nella stessa compressa può promuovere la gestione integrata del rischio cardiovascolare individuale coniugando il concetto di semplificazione terapeutica (e quindi di maggiore aderenza) con una sinergia di efficacia protettiva. Negli ultimi anni successivi l’attenzione si è rivolta verso lo sviluppo e l’impiego di “polipillole” in prevenzione cardiovascolare. Tuttavia, ancora oggi questa strategia è ancora residuale soprattutto nei Paesi occidentali, nonostante alcune pubblicazioni di livello, nel corso del tempo, abbiano periodicamente riproposto questa interessante soluzione [21].

Una recente meta-analisi che ha incluso 3 ampi studi randomizzati controllati, condotti in un contesto di prevenzione primaria – TIPS-3 (The International Polycap Study 3), HOPE–3 (Outcomes Prevention Evaluation-3) e Polyiran – ha evidenziato la notevole efficacia protettiva di una strategia terapeutica basata sull’uso della polipillola dimostrando una minore incidenza di eventi cardiovascolari tra i pazienti assegnati al trattamento con polipillola rispetto al gruppo di controllo [22]. Pur riconoscendo i vantaggi in termini di aderenza terapeutica che possono derivare da una significativa semplificazione degli schemi terapeutici, i dati a supporto dell’impiego sistematico di polipillole nella pratica clinica sono ancora incerti. Alcuni studi recenti lo studio SECURE (Secondary Prevention of Cardiovascular Disease in the Elderly), UMPIRE (Use of a Multidrug Pill in Reducing Cardiovascular Events), IMPACT (Improving Adherence Using Combination Therapy), Kanyini GAP (Guidelines Adherence with the Polypill) e FOCUS (Fixed Dose Combination Drug for Secondary Cardiovascular Prevention), hanno dimostrato come la polipillola aumenti significativamente l’aderenza al trattamento rispetto alla somministrazione dei singoli farmaci separatamente o rispetto alla terapia standard [24,25].

Innegabilmente, il ricorso alla polipillola può semplificare lo schema terapeutico consentendo di superare alcune rilevanti criticità connesse al politrattamento, soprattutto negli anziani, che spaziano dagli errori nell’assunzione all’autogestione della terapia.

Nei pazienti anziani persino il fatto che le confezioni e la presentazione delle pillole cambino frequentemente, per esempio cambiando marchio o transitando attraverso diversi bioequivalenti, possono esercitare un ruolo importante. Anche l’accessibilità alle nuove prescrizioni (pensiamo, ad esempio, ai Piani terapeutici) o al “refilling” dei farmaci o la circolazione incontrollata di notizie di stampa non sempre ben documentate scientificamente possono sollevare preoccupazioni talora ingiustificate circa specifici farmaci e la loro sicurezza. Classici esempi recenti sono una presunta elevata tossicità delle statine (effetto “nocebo”) o una presunta maggiore gastrolesività legata all’impiego dell’acido acetilsalicilico a basso dosaggio.
I fattori che possono predirre l’aderenza ad uno schema terapeutico riguardano oltre l’età e il sesso, anche il livello socio-economico. L’aderenza terapeutica nel management dell’ipertensione arteriosa.


COSA DICONO LE NUOVE LINEE-GUIDA DELL’IPERTENSIONE ARTERIOSA 2023 DELLA EUROPEAN SOCIETY OF HYPERTENSION?

Le Linee-Guida ESH 2023 hanno dedicato grande enfasi al problema dell’aderenza terapeutica nell’Ipertensione Arteriosa.
Certamente, le stime di non-aderenza al trattamento antipertensivo variano sensibilmente in relazione al metodo di rilevamento dell’aderenza, al livello socio-economico dei diversi Paesi, al livello socio-culturale dei pazienti, alla formazione dei medici, ai livelli organizzativi locali. Tuttavia, in media circa uno su tre pazienti ipertesi sono non aderenti al trattamento antipertensivo. Nell’ambito della non-aderenza il peso maggiore è legato alla scarsa persistenza: ad esempio in Italia circa il 36% dei pazienti con una prescrizione iniziale di un farmaco antipertensivo non rinnova la prescrizione iniziale una seconda volta.

Per questi motivi le linee-guida ESH 2023 raccomandano fortemente l’identificazione e lo screening per la non aderenza come parte dell’”assessment” routinario della efficacia della terapia antipertensiva. Raccomandano inoltre di perseguire una strategia personalizzata di gestione della non-aderenza nel singolo paziente, dal momento che non c’è un’unica strategia valida ed efficace per gestire la non-aderenza in tutti i pazienti.
La Figura allegata ripresa dalle Linee-Guida ESH 2023 elenca le raccomandazioni e le indicazioni per la gestione della non-aderenza alla terapia antipertensiva.

Figura 2. Mancata aderenza alla terapia antipertensiva

RACCOMANDAZIONI

CLASSE

LIVELLO DI EVIDENZA

In tutti i pazienti con ipertensione apparentemente resistente deve essere esclusa la mancata aderenza alla terapia

I

B

Nei pazienti in terapia di combinazione (almeno 2 farmaci) che non raggiungono un adeguato controllo dei valori pressori è indicato indagare la mancata aderenza al trattamento

II

C

Bisogna accertare l’aderenza al trattamento prima di effettuare lo screening per l’ipertensione secondaria

I

C

Bisogna collezionare più informazioni possibili circa l’aderenza alla terapia tenendo in considerazione che tutti i metodi presentano delle limitazioni

I

C

L’impiego di terapia di combinazione in singola pillola è raccomandato per migliorare l’aderenza e la persistenza alla terapia antipertensiva

I

B

Diverse strategie possono essere considerate per migliorare l’aderenza alla terapia. Un approccio multidisciplinare è raccomandato.

I

C

 

Altre due importanti aree di intervento su criticità del processo di aderenza alla terapia antipertensiva sono l’inerzia clinica da parte del medico (sia diagnostica che terapeutica, che può trarre sensibili vantaggi dall’implementazione di interventi educazionali, di processo clinico, di organizzazione del lavoro e di semplificazione terapeutica e il cosiddetto “patient empowerment” che si basa sul coinvolgimento attivo (“partnership”) con il paziente sia nella condivisione del piano terapeutico che nel raggiungimento degli obiettivi terapeutici, implementando il self-monitoring e gli strumenti oggi offerti dalla Telemedicina, smartphones, et.)

Infine, un ruolo importante nella prevenzione e nella gestione della non-aderenza può essere svolto, come detto, e come raccomandato dalle linee guida europee dalle farmacie e dal lavoro di team, che vede un posizionamento sempre più rilevante dell’infermiere e da altri professionisti anche nell’ambito dei programmi sanitari aziendali e sul posto di lavoro. 


Con il contributo non condizionante di:

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