L’ipertensione arteriosa è una condizione patologica caratterizzata da un aumento persistente dei valori pressori al di sopra dei limiti di normalità: secondo le linee guida europee si parla di ipertensione in presenza di una pressione sistolica pari o superiore a 140 mmHg e una pressione diastolica pari o superiore a 90 mmHg. [1]
L’ipertensione arteriosa costituisce uno dei maggiori fattori di rischio cardiovascolare [2]. Esiste una correlazione lineare tra i valori di pressione arteriosa e l’incidenza di eventi cardiovascolari come infarto del miocardio, ictus ischemico, scompenso cardiaco, malattia vascolare periferica così come anche di insufficienza renale. [3] Lo scarso controllo dei valori pressori, infatti, porta allo sviluppo e favorisce la progressione del danno d’organo a livello cardiaco, vascolare e renale [4].
L’ipertensione arteriosa è una malattia ad eziologia multifattoriale [1]: origina infatti dall’effetto combinato di fattori genetici ereditari e di fattori ambientali, come l’obesità, l’eccessivo introito di sale, lo stress, i quali possono essere modificati attuando degli accorgimenti comportamentali. Il cambiamento dello stile di vita costituisce infatti il pilastro fondamentale della prevenzione dell’ipertensione arteriosa nonché, a volte, la stessa cura. A tal proposito, le recenti linee guida ESC sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari raccomandano di praticare regolare attività fisica (almeno 150 minuti a settimana di attività fisica moderata o almeno 75 minuti di attività fisica intensa), controllare il peso corporeo, aumentare il consumo di frutta, verdura, pesce e acidi grassi insaturi e limitare il consumo di carne rossa nella dieta, ridurre l’apporto di sale da cucina (<5 g al giorno), smettere di fumare e ridurre il consumo di alcool [5].
L’ipertensione arteriosa decorre prevalentemente in maniera asintomatica, pertanto è raccomandato uno screening in tutti i pazienti di età superiore a 18 anni attraverso misurazioni della pressione arteriosa a intervalli di tempo regolari la cui frequenza dipende dai valori pressori rilevati. [6]
Essendo i valori di pressione arteriosa molto variabili, è possibile fare diagnosi di ipertensione solo sulla base di multiple misurazioni eseguite durante almeno due visite, a meno che non vengano riscontrati valori estremamente alti. Strumenti utili per una diagnosi più accurata sono il monitoraggio pressorio delle 24 ore e la misurazione domiciliare dei valori pressori, che permettono di identificare anche un’eventuale ipertensione da camice bianco o un’ipertensione mascherata [1].
Estremamente importante è l’accuratezza nella misurazione della pressione: le linee guida ESH per la Misurazione della Pressione Arteriosa Clinica ed Out-of-Office raccomandano l’utilizzo di dispositivi di misurazione pressoria validati con successo secondo un protocollo prestabilito e la scelta di un bracciale che tenga conto della circonferenza del braccio [7].
Le linee guida della Società europea di Cardiologia classificano la pressione arteriosa sulla base dei valori rilevati durante la visita:
SISTOLICA |
DIASTOLICA |
||
OTTIMALE |
<120 |
e |
<80 |
NORMALE |
120-129 |
e/o |
80-84 |
NORMALE-ALTA |
130-139 |
e/o |
85-89 |
IPERTENSIONE I GRADO |
140-159 |
e/o |
90-99 |
IPERTENSIONE II GRADO |
160-179 |
e/o |
100-109 |
IPERTENSIONE III GRADO |
≥180 |
e/o |
≥ 110 |
Ciascun paziente presenta un individuale profilo di rischio cardiovascolare globale, pertanto, i valori per il quale sarà necessario intervenire con un trattamento farmacologico saranno differenti. Per i pazienti apparentemente sani, le più recenti linee guida sulla prevenzione cardiovascolare raccomandano l’utilizzo dell’algoritmo aggiornato SCORE2 che, in base a Paese di appartenenza, età, sesso, pressione arteriosa, abitudine tabagica e colesterolo non- HDL, permette di stimare il rischio individuale a 10 anni di sviluppare eventi fatali e non fatali nei pazienti di età tra i 40 e 69 anni con fattori di rischio non in trattamento o stabili da molti anni. È possibile, pertanto, classificare i pazienti in tre classi di rischio: rischio cardiovascolare moderato-basso, alto e molto alto. Con l’aumento dell’età, la stretta relazione tra fattori di rischio e rischio cardiovascolare tende ad attenuarsi e la mortalità per eventi non cardiovascolari aumenta, pertanto per i pazienti di età >70 anni è possibile utilizzare lo SCORE2-OP che tiene in considerazione questi elementi. Invece, i pazienti con comorbilità, quale diabete mellito, insufficienza renale moderata-severa, dislipidemie genetiche o malattia aterosclerotica accertata, presentano un profilo di rischio alto o molto alto in base all’avanzamento della loro patologia e agli altri fattori di rischio. [5]
Nei pazienti affetti da ipertensione arteriosa, le attuali line guida europee raccomandano come obiettivo terapeutico primario il raggiungimento di valori inferiori a 140/90 mmHg. Più nel dettaglio, il target terapeutico ottimale di pressione sistolica dovrebbe essere al di sotto di 120-129 mmHg nei pazienti di età compresa tra 18 e 69 anni, e al di sotto di 140 mmHg, ridotto a 130 mmHg se la terapia è ben tollerata, nei pazienti di età pari o superiore a 70 anni. Una pressione diastolica < 80 mmHg è invece raccomandata per tutti i pazienti, indipendentemente dall’età.[5]
Il primo approccio terapeutico in tutti i pazienti affetti da ipertensione arteriosa consiste nell’attuare dei cambiamenti nello stile vita. Per alcuni pazienti, in particolare quelli con pressione normale-alta o ipertensione di I grado e intermedio-basso rischio cardiovascolare, questo può costituire l’unico trattamento indicato, almeno in una fase iniziale: il trattamento farmacologico sarà necessario solo se a distanza di 3-6 mesi non si riscontrerà un adeguato controllo dei valori pressori. Al contrario, nei pazienti affetti da ipertensione di II o III grado e nei pazienti con rischio cardiovascolare alto è raccomandato intervenire con una terapia medica sin dal momento della diagnosi.
Il trattamento farmacologico dell’ipertensione arteriosa è basato sull’utilizzo di cinque classi di farmaci che attraverso numerosi trial si sono dimostrati utili nel ridurre gli eventi cardiovascolari: ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti, calcio antagonisti e diuretici tiazidici. Ad eccezione dei pazienti che presentano un’ipertensione di I grado e un intermedio-basso rischio cardiovascolare e dei pazienti fragili per i quali può essere sufficiente una monoterapia, le attuali linee guida raccomandano come approccio iniziale una duplice terapia, preferibilmente combinata in un’unica pillola. In generale, è consigliato utilizzare una combinazione che includa un bloccante del sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE inibitore o sartano) e un calcio antagonista o un diuretico. Qualora la duplice terapia non fosse sufficiente a raggiungere l’obiettivo terapeutico, è raccomandata l’associazione in triplice terapia di queste classi farmacologiche. I beta-bloccanti sono da preferire in presenza di specifiche condizioni cliniche che ne indichino l’impiego. Infine, nei pazienti che non raggiungono i target ottimali di pressione arteriosa con la triplice associazione, possono essere utilizzati in aggiunta lo spironolattone e altre classi farmacologiche come gli alfa-antagonisti o la clonidina. È importante ricordare che l’efficacia di ciascuna modifica terapeutica deve essere valutata a distanza di tre mesi. [1]
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