In un’epoca in cui vi è una sempre maggiore tendenza alla sedentarietà ed una maggiore incidenza di obesità e di malattie cardiovascolari (CVDs), promuovere una regolare attività fisica ed allenamento tra la popolazione generale è tra i principali obiettivi delle maggiori società scientifiche internazionali.
Sono diversi gli studi che mostrano un rapporto dose dipendente tra una maggiore attività fisica e un minor tasso di patologie cardiovascolari. Nei soggetti che praticano attività fisica si è osservato infatti un miglior controllo dei fattori di rischio CV con una minor incidenza di ipertensione, un miglior controllo glucidico e riduzione del peso corporeo e del livello di colesterolo LDL agli esami ematici. [1]
Una maggiore pratica dell’esercizio fisico è inoltre associata alla riduzione di mortalità per tutte le cause e ad una minor prevalenza di neoplasie maligne.
Sono diversi i meccanismi attraverso cui l’attività fisica agisce in termini di prevenzione.
Oltre all’azione sui tradizionali fattori di rischio, un’attività fisica regolare si è dimostrata avere un’azione diretta sulla salute cardiovascolare. [2]
L'esercizio fisico, infatti, migliora la capacità funzionale e riduce la domanda di ossigeno del miocardio a qualsiasi livello di attività fisica in persone apparentemente sane e nella maggior parte dei soggetti con malattie cardiovascolari. È necessario che l’attività fisica sia svolta in maniera regolare affinché questi benefici siano mantenuti nel tempo. [3]
Azione anti-aterogena
L’esposizione costante dei vasi e dell’endotelio alle variazioni emodinamiche che si verificano in corso di attività fisica si traduce nello sviluppo di meccanismi di adattamento anti-aterogeni.
Nello specifico, un aumento dello stress di parete stimola vasodilatazione attraverso il rilascio di ossido nitrico (NO). In pazienti affetti da malattia cardiovascolare, un aumento ripetitivo di stress di parete indotto da un programma di allenamento di 4 settimane a moderata intensità, ha mostrato un aumento dei livelli di NO oltre che di vasodilatazione a livello del circolo coronarico.
Questi vantaggi sono stati osservati maggiormente nel caso di esercizio aerobico, come la corsa di resistenza, il nuoto o il ciclismo.
A ciò si associa inoltre riduzione dell’infiammazione cronica attraverso il rilascio di miochine, ad una maggiore collateralizzazione del circolo coronarico e stabilizzazione della placca aterosclerotica, nella quale si è osservato un maggiore contenuto di collagene ed elastina, con riduzione del volume del core necrotico e riduzione globale del burden di placca.[2]
Modulazione neuroautonomica
Il sistema nervoso autonomo consiste nel sistema nervoso simpatico, parasimpatico e sistema nervoso enterico. La principale funzione del sistema nervoso autonomo include la regolazione della funzionalità cardiaca, respiratoria e vasomotoria.
L’esercizio fisico regolare ha un ruolo importante nella regolazione del sistema nervoso autonomo. Ciò si evince dal miglioramento della Heart rate variability (HRV) nei soggetti sedentari, così come in quelli affetti da scompenso cardiaco cronico che hanno iniziato un programma di training. [1] L’HRV è una misura dell’azione vagale sul cuore. Una bassa HRV è un marker di disfunzione autonomica che può associarsi ad una compromissione della salute CV oltre che ad una prognosi peggiore nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico o dopo infarto del miocardio. L’attività fisica potenzia l’azione del sistema parasimpatico sul sistema nervoso simpatico (si osserva infatti un aumento della HRV), ripristina il normale equilibrio dei recettori β-adrenergici riducendone la sensibilità e l’espressione, e tutto ciò si tradurrà in una minore incidenza di aritmie maligne e una maggiore protezione contro il danno da ischemia-riperfusione.[2]
Nonostante ciò, le stime globali più recenti mostrano che solo un adulto su quattro (27.5%) e più di tre quarti (81%) degli adolescenti non seguono le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) riportate nell’ 2010 Global Recommendations on Physical Activity for Health, vi è pertanto la necessità di promuovere ed investire nei servizi che incentivano l’attività fisica. [4]
È anche ruolo del clinico incoraggiare l’esercizio fisico tra i propri pazienti, ed essere in grado di prescrivere programmi di allenamento creati specificatamente sulle comorbidità, i fattori di rischio e gli obiettivi del paziente.
Gli elementi principali da considerare nella prescrizione di un programma di allenamento si possono riassumere con l’acronimo FITT:
Ai fini di una corretta prescrizione una prima valutazione dovrebbe basarsi sulla presenza o meno di sintomi e all’utilizzo delle carte di rischio cardiovascolare SCORE2.
Per i pazienti che conducono una vita attiva, a rischio CV basso-moderato non dovrebbero essere applicate restrizioni, anche per gli sport competitivi. I soggetti che conducono una vita sedentaria o soggetti con rischio CV alto o molto alto dovrebbero essere sottoposti a visita medica con ECG e test da sforzo prima di iniziare attività fisica ad alta intensità. [5]
Il potenziale rischio legato all’ attività fisica può così essere ridotto da un’attenta valutazione medica e corretta stratificazione del rischio cardiovascolare, oltre che da una precisa educazione del paziente. [3]
L’OMS, così come le ultime linee guida europee, raccomanda almeno 150 min a settimana di esercizio fisico aerobico moderato o almeno 75 min alla settimana di esercizio aerobico vigoroso o una combinazione equivalente dei due.
Per benefici aggiuntivi si raccomanda di incrementare l’esercizio aerobico moderato fino a 300 min alla settimana o quello intenso aerobico fino a 150 min alla settimana, o una combinazione equivalente dei due.
Sono inoltre raccomandate sessioni di allenamento multiple, 4-5 alla settimana o se possibile tutti i giorni.
I soggetti affetti da cardiopatia ischemica cronica, asintomatica, in assenza di ischemia inducibile alle metodiche di imaging da stress o ai test da sforzo, dovrebbero poter partecipare a tutti i tipi di sport, anche a livello agonistico, dopo un’attenta stratificazione del rischio da parte del medico. Si raccomanda inoltre un follow up regolare di questi soggetti. I soggetti affetti da cardiopatia ischemica cronica, ad alto rischio di eventi CV possono praticare esercizio ricreativo al di sotto della propria soglia di angina ed ischemia.
Nelle prime fasi dopo un evento coronarico acuto la riabilitazione cardiologica, insieme ad un supporto psicologico e motorio, si è mostrato ridurre il tasso di riospedalizzazione e l’incidenza di sindrome ansiosa, dovrebbero pertanto essere considerati in tutti i pazienti a rischio residuo basso purché l’intensità venga individualizzata sulle caratteristiche del paziente stesso.
Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico la riabilitazione cardiologica al fine di migliorare la capacità di esercizio, la qualità di vita e ridurre le ospedalizzazioni è raccomandata in tutti i pazienti stabili. Oltre le valutazioni annuali andrebbero fatte ulteriori rivalutazioni in caso di incremento del carico di esercizio. [5]
Molte persone sono portate a pensare che si tratti di “tutto o nulla” quando si parla di esercizio fisico. In realtà, anche programmi a bassa intensità contribuiscono ad un beneficio generale. Anche l’attività più semplice è meglio di nulla, non è mai troppo tardi per iniziare. [1]
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